Per ricevere gli aggiornamenti:

martedì 28 agosto 2012

Indietro

Racconto con cui ho partecipato alla 24ore di agosto.
Nato come brano molto più lungo, per esigenze di spazio l'ho dovuto tagliuzzare qua e là, inficiandone la resa complessiva, mi sono ripromesso che, tra qualche giorno, ci lavorerò un po'e lo riproporrò in "versione estesa" e più godibile.



INDIETRO. A carnevale, ogni scherzo vale.

Martedì 14 Febbraio 2018
“…presenta la campagna contro la violenza sulle donne, il senatore Alexander Mac Kenzie.”
Non gli era mai piaciuto vedersi in televisione, la spense. Sullo schermo nero, l’ombra del suo riflesso lo fissava in silenzio.
“Ironia. Solo nel giorno in cui tutti indossano una maschera, io posso togliere la mia. ‘Il volto dell’America’, dicono loro, semmai la bugia dell’America, dietro cui ognuno nasconde ciò che non può essere.”
Si spostò sul balcone dell’attico e osservò la città.
Durante il mardì gras, non c’era al mondo posto migliore di New Orleans: nel delirio della festa, nessuno avrebbe notato il vero volto di un vecchio stanco.
Guardò l’orologio, erano quasi le otto. Prese dal comodino un mazzo di rose fresche e una piccola borsa.
“È ora di andare, finalmente, dall’unica persona che mi conosce per quello che sono”.

27 Febbraio 1990
“…tutto quello che sono lo devo a mio padre che mi ha insegnato cosa sia la giustizia. Ed è con giustizia che ho intenzione di servire il mio Paese, sempre. Dio vi benedica, Dio benedica l’America.”
Il neo-senatore scese dal palco tra gli applausi entusiasti della platea, scortato come sempre da Sean Pollack, capo del suo staff, e da Kevin Riley, capo della sicurezza.
- Sean, sono in ritardo, devo ancora passare a prendere le rose.
- Non preoccuparti, Mac, ci ho già pensato io, è tutto in macchina.
- E la borsa? Hai preso la borsa?
- L’ha presa Kevin, non l’ha lasciata nemmeno un secondo.
- Bravi, non so cosa farei senza di voi.
- E, Mec, gran bel discorso.

6 marzo 1984.
- Ehi, Juan, chi era quello?
Maria appoggiò la scopa alla parete del corridoio e si avvicinò all’infermiere.
- Come, non lo sai? È il deputato Mac Kenzie.
Il suo sussurrare ispanico gli dava sempre l’aria del cospiratore.
- Quello di “giustizia prima di tutto”?
- Proprio lui.
- E che ci fa qui?
- Eh, è una storia triste: viene qui tutti gli anni a trovare la donna della 137. Tu forse sei troppo piccola per ricordarti ma è stata anche sui giornali: il deputato e la 137 erano fidanzati da piccoli. Poi, un giorno di carnevale, erano a casa da soli, stavano giocando, lui le ha fatto uno scherzo e lei è impazzita. Si è buttata dalla finestra in un roseto, è quasi morta dissanguata e, come se non bastasse, ha cominciato ad autoinfliggersi altre ferite. Poi ha avuto una crisi ed è diventata muta.
- Non ti aspetterai che mi beva una storia così.
- La cosa curiosa è che non c’è stata neanche una denuncia: quando lo sceriffo è arrivato, la ragazzina non parlava e c’erano due testimoni che hanno confermato la versione del deputato, cioè, del ragazzo. Quindi, lei l’hanno mandata nel manicomio di New Orleans, lui invece ha deciso che avrebbe fatto il politico, sai, per aiutarla.
- Aspetta, è vero, quest’ultima parte l’ho sentita anche io.
- Sì, e sono anni ormai che al martedì grasso lui viene a trovarla e le porta i fiori. Finalmente un politico che fa quello che dice. Io l’ho votato, e lo voterò ancora.

19 Febbraio 1980
Il neo-deputato Mac Kenzie si chiuse la porta dietro le spalle. Rose era stesa sul letto, polsi e caviglie legati da spesse cinghie di cuoio rinforzate.
Gli infermieri dovevano averla sedata: era più tranquilla del solito. Le appoggiò sul basso ventre il mazzo di rose e lei ebbe un sussulto.
- Sì, tesoro, sono io. È martedì grasso, il nostro anniversario, sono venuto a trovarti.
Dalla borsa estrasse un vecchio calzino gonfio e glielo poggiò sul petto, una lacrima le rigò il viso.
Si avvicinò dolcemente, le scostò i capelli e le baciò le labbra, mentre la sua mano scivolava lenta verso i seni, coperti solo dalla sottile vestaglia di cotone.
Rose cominciò a singhiozzare, chiuse gli occhi e inarcò la schiena. Le rose le scivolarono tra le gambe e una spina le graffiò l’interno della coscia: una goccia di sangue colò lenta sulle lenzuola.

6 marzo 1962
Alex aveva il braccio dolorante, lasciò cadere a terra il calzino pieno di sabbia umida e prese a massaggiarsi la spalla.
- Avete visto? Aveva ragione mio padre, con questo non rimangono i lividi.
Sean e Kevin lo guardarono ammirati: essere amici del figlio dello sceriffo era proprio il massimo.
- Vi prego, basta. Vi giuro che non cercherò più di scappare.
Rose urlava tra le lacrime, i polsi legati con delle cinghie alla spalliera del letto. La pelle candida della schiena era solcata da profondi graffi, testimoni del suo fallito tentativo di fuga attraverso il roseto.
- Perché hai dovuto fare tanto la difficile? Era un gioco, uno scherzo. E tu volevi rovinare tutto.
- Scusa, non volevo, ma ora basta, lasciami andare, prometto che non dirò niente a nessuno.
- Sono sicuro che non dirai niente, altrimenti ti uccido. Poi a chi crederebbe la gente, alla puttanella pazza che si getta di schiena nei roseti o al figlio dello sceriffo?
Alex fece un cenno ai suoi due amici che afferrarono Rose per le caviglie e le aprirono a forza le gambe.
- Hai voluto scappare, quindi ti meriti un altro gioco, un altro scherzo, - continuò Alex slacciandosi i pantaloni, -perché a carnevale, ogni scherzo vale.
Leggi tutto...

venerdì 24 agosto 2012

Esodo

Racconto vincitore dello skannatoio 5 e mezzo, edizione regolare di Agosto 2012.

Le specifiche volevano che fosse ambientato nel 2013 e che, su una città a scelta (ma con almeno 50'000 abitanti), si abbattessero due piaghe: una tratta dalle 10 piaghe che Mosè ha scatenato sull'Egitto nella Bibbia, mentre un'altra inventata da noi.
Io ho tirato fuori questo dalla traccia. Buona lettura e spero che vi diverta come ha divertito gli altri partecipanti al concorso.

ESODO

1. Codice Genesi.
In principio era l’Insieme Universo, infinito e onnicomprensivo.
- Chiamatemi pure U - disse lui mettendosi in una posa da divo di una rivista per teenager.
- Un momento, cosa è una rivista per teenager? Non credo esista nulla del genere - pensò scrutando il nulla dentro di sé. È una gran seccatura l’essere onnicomprensivo eppure ancora vuoto.
Schioccò le dita e rivista per teenager fu.
I giorni seguenti passarono davanti allo specchio a studiare con Derek, suo nuovo consulente d’immagine, le espressioni e le posture per risultare bello, bello, bello in modo assurdo, in ogni situazione.
Salvo poi accorgersi che né gli specchi né, tantomeno, i giorni erano ancora stati creati. Per non parlare di Derek e della generica categoria dei consulenti d’immagine.
- Che palle, questo vuoto è incredibilmente seccante, devo sempre fare tutto io, mai un povero Cristo che mi dia una mano.
E fu così che nacquero il giorno e la notte, gli specchi, i consulenti d’immagine, Cristo, le mani e… le palle.

Milioni di anni dopo.


2. La tirannia dei numeri primi.
- Sono stanco di questa situazione, 208, qualcuno dovrebbe fare qualcosa.
- Che è successo ancora, marito mio?
- Quei bastardi dei numeri primi, non se ne può più, credono di poter fare tutto ciò che vogliono solo perché loro sono “gli eletti”, “la razza superiore”. Dovevi vedere il 157, quel maledetto, l’ho incrociato per strada oggi e non puoi immaginare: ha cercato di dividermi per 0. Davanti a tutti.
Una lacrima nervosa gli rigò il volto mentre la moglie cercava di nascondere un ghigno: quante volte a scuola aveva visto i numeri della squadra di football dividere per zero quelli della squadra di dibattito.
- Non ero mai stato tanto umiliato in vita mia. Ma chi ha deciso che ogni numero debba subire l’autorità di tutti i propri divisori? È una cazzata tanto quanto fare le moltiplicazioni dopo le addizioni.
- L’ha deciso il Farauno, stupido, sono 2013 anni che è così. E non urlare, se ti sentisse qualcuno passeremmo dei guai.
Il marito si lasciò andare sul tavolo, oppresso dalla rabbia e dal senso di impotenza.
- Suvvia, amore, a te non è andata nemmeno così male: sei il 314, soggetto solo all’autorità del Farauno, del numero 2 e del 157. Sei un numero importante.
- Smettila di vivere nelle tue illusioni populiste e fare tutta la gni gni gni, in città o sei primo o sei ultimo.
Uscì di casa sbattendo la porta.
Il grande 0 tramontava dietro le regolari colline sinusoidali mentre i suoi raggi, perdendosi tra gli edifici triangolari, delineavano il tipico skyline del quartiere pitagorico.


3. Il campanello suona sempre appena entri in doccia.
- Insieme Universo. Lo so che puoi sentirmi, rispondimi! Insieme Universooo.
314 proseguiva in quel cantilenante richiamo da giorni ormai.
- Ma chi è questo qui? Perché non la smette di strillare a quel modo? È una settimana che non mi lascia dormire, sto diventando pazzo.
U cacciò la testa sotto il cuscino per attutire il suono martellante di quella voce. Invano.
- Derek, fai qualcosa! Vai un po’a vedere cos’ha da urlare tanto.
Il consulente d’immagine rispose senza nemmeno aprire gli occhi.
- Agata è hmfndata a prendere i piccoli a scuola, non so, ma la baita è shfnicuramente ahnsnonfata.
- Derek!- gridò seccato Insieme Universo, - svegliati!
Il giovane sobbalzò finendo giù dal letto.
- Che cavolo. U, che c’è? Lo sai che svegliarmi così all’improvviso mi blocca i chakra. Poi faccio orrendi peti per tutto il giorno.
- C’è che il villico mi sta facendo impazzire, devi andare a vedere cosa vuole.
- Ma sta chiamando te, non me, vai tu a sentire cos’ha. Poi non posso mica uscire così, ho i bigodini e la maschera all’aloe. Assolutamente impresentabile.
- Ti prego, non voglio, fallo per me.
Derek alzò gli occhi abbozzando un sorrisetto compiaciuto.
- E va bene, sciocchino, ma poi non dire che non ti vizio.
E si avviò ancheggiando verso il balcone.


4. Joe rinunciò a usare la logica e si limitò a dir loro che poteva parlare con le piante, e che loro volevano l’acqua.
- Insieme universoooo, ti pregoooo, rispondiiii. Ti prego.
314 stava per demordere quando, d’un tratto, sentì una voce sopra la sua testa.
- Gioia bella, non puoi tenere sveglia la gente così per giorni. Tutto questo urlare fa molto “mercato del pesce”, non sta bene.
Il numero cadde all’indietro terrorizzato alla vista di quell’enorme faccia verde che occupava mezzo cielo.
- C-c-chi s-sei t-tu?
- Sono Derek, il compagno di U. Tu, piuttosto, chi sei e che hai da strillare tanto?
- S-sono 314, s-signore. D-dovrei p-parlare c-con l’I-i-ins-sieme U-u-niverso.
- Sì, tesoro, questo si era capito, ma cosa vuoi da lui? E, sentimi, smettila di balbettare, io mangio solo prodotti da agricoltura bio, quindi non temere, non ti mordo.
Il numero di parole al secondo che quella faccia gli sparava addosso aveva dell’incredibile: 314 era stordito.
- Beh, signor Derek, la situazione quaggiù è critica, c’è bisogno di Lui, non è che potrebbe, non so, chiamarmelo?
- Aham.
- Intendo, subito.
- Aham.
Il faccione all’aloe continuava a fissare il numero, annuendo con aria interessata.
- Mi ha ascoltato?
- Ma cccerto che ti ho ascoltato, per chi mi hai preso? Stavi dicendo che lì giù la situazione è tragica perché non avete le coltivazioni bio, è proprio un dramma. Ma io non ci posso fare nulla, tesoro.
- No, cioè, con tutto il rispetto, non credo tu abbia afferrato. Dicevo che la situazione a livello socio-politico è diventata insostenibile, bisogna fare subito qualcosa.
- Aham. È interessantissima ‘sta cosa.
- Qualcosa come chiamare U!
- Aham.
314 tentò di spiegare nuovamente la situazione a Derek ma, dopo altri due tentativi a vuoto, optò per cambiare strategia e cominciò a far finta di piangere.
- Derek, posso darti del tu, vero?
- Ma certo tesoro, ormai siamo super amici super forever.
- Ho un problema.
- Oddio, che è successo?
- Su questo mondo non c’è la frutta bio.
- Ma, scherzi? Non c’è la frutta bio?
- No, ti giuro, neanche l’ombra, tesoro. Il problema è che io non so cosa fare, sono disperatissimo. Non ce la posso fare: senza la mia macedonia bio mi si blocca tutto l’intestino e poi non riesco a essere regolare.
A quel punto, Derek provò un tale livello di empatia che cominciò a piangere e rispose tra le lacrime:
- Ascolta gioia, io forse ho la soluzione al tuo problema, cioè, non ti prometto nulla eh, ma forse il mio ragazzo può fare qualcosa, sai, lui è in quel ramo. Proverò a chiedergli, tu aspettami qui.
L’enorme viso sparì nel nulla come era apparso, lasciandosi dietro solo un lieve odore dolciastro.


5. La goccia che fa traboccare il vaso può essere la stessa che buca la pietra?
- Basta! Non ne posso più! Prima quello che continua a chiamare, ora tu che continui a rompermi le palle con ‘sta cazzo di frutta bio.
L’Insieme Universo era pronto a inventare il mitra e fare una strage in un supermercato. Si trattenne solo per non dover inventare anche i supermercati, le cassiere, la clientela e quant’altro. Lo irritava soprattutto l’idea dei salumieri, con quei sorrisi ammiccanti e il rito del “sono due etti un po’abbondanti, lascio?”.
- Ma almeno lo sai che cosa significa che la frutta è bio?
- Certo, vuol dire che fa bene al corpo. Viene dal latino, è il nome di un paese del Sudamerica dove non si ammala mai nessuno.
- Ok, - U non ebbe forza di volontà sufficiente a controbattere - ma perché fa bene?
- Perché è bio. Bio fa bene al corpo.
- Sì, ma perché bio fa… oooh, uffa! Lasciamo perdere. Hai vinto: se vado a sentire cosa vuole questo 314, prometti che poi passiamo una serata tranquilla senza frutta bio?
- Oh, amore, sei sempre il migliore.
U non poté non notare che Derek non aveva detto “sì”, ma non aveva le forze per continuare quella discussione e si avviò ciondolante verso la balconata.


6. Il Pianista.
- Stai scherzando?
- Sto qui da due settimane a gridare e aspettare come un cretino, ti pare io abbia voglia di scherzare?
314 era talmente esasperato che non riservò all’Insieme Universo il tono di deferenza forse dovuto.
- Ma Derek mi aveva detto che…
- Derek ha capito quello che voleva capire! Ho forse l’aria di uno che mangia frutta bio? Ma ora possiamo, per favore, parlare del mio problema?
- E va bene, sentiamo cosa c’è di tanto urgente e importante da farmi interrompere tutte le mie infinite attività.
- I numeri primi, Insieme Universo, contravvengono alle vostre regole rendendo un inferno la vita di tutti.
- Fanno le addizioni prima delle moltiplicazioni?
- No, Signore, intendo quell’altra regola.
- Usano dei minuendi minori dei sottraendi?
- E che cazzo, no! Quella che ci avete creati tutti ugualmente importanti. Loro invece ci hanno resi schiavi.
- Ah, quella regola.
L’Insieme Universo roteò gli occhi scavando nella memoria alla sua ricerca. Essere onnicomprensivi aveva i suoi lati negativi: in mezzo al Tutto non era facile trovare alcunché, soprattutto le chiavi della macchina, ma anche le regole mai usate si stavano dimostrando un brutto cliente. Decise di prendere tempo.
- Beh, certo è molto grave…
- Esatto, è quello che dico anch’io, dovete fare subito qualcosa, non si può perpetrare questo ciclo d’impunità.
314 si sentiva ormai vicino alla soluzione del problema: ora che l’Insieme Universo lo stava ascoltando, le cose sarebbero andate finalmente per il verso giusto.
- Sì, sono d’accordo, qualcosa faremo.
U ancora non riusciva a trovare quella maledetta regola, non gli rimaneva che fidarsi di quel piccolo numero.
- Allora? Mio nuovo, giovane e tediante amico, hai qualche idea?
- Idea? Io? No, sei tu il pezzo grosso, io voglio solo essere libero, non mi interessa nient’altro. Credevo che tu avessi tutta una serie di strumenti e soluzioni per ogni problema. Che ne so, un manuale del “perfetto Insieme Universo” o cose così.
U si illuminò a quelle parole:
- Aspetta, forse mi è venuta in mente una cosa. C’è un mio amico d’infanzia che non vedo da tanto, si era trasferito per colpa della crisi, sai, non c’era lavoro e ha deciso di mettere su un’attività tutta sua in un angolo di Nulla in cui non c’era ancora molta concorrenza. Era un genio nel trovare soluzioni creative ai problemi, poi sapeva farsi rispettare. Qualche secolo fa mi ha mandato una copia di un romanzo ispirato alle sue disavventure, magari lì troviamo qualche idea utile.
Si rimise a cercare in sé. Dopo alcuni minuti di sguardi imbarazzati ed “eppure sono sicuro che l’avevo messo qui”, U tornò in casa.
- Derek, hai mica visto  quel libro che mi aveva mandato il mio amico qualche secolo fa?
- Secondo ripiano della cucina, ma fai piano a sollevarlo che lo stavo usando per tenere pressate le foglie che ho raccolto in giardino.
- Non c’è, ho appena guardato.
- Guarda meglio, sono sicuro.
- Se ti ho detto che non c’è, vuol dire che non c’è. Non è che non sono capace di cercare un libro in un metro quadro.
Derek arrivò sbuffando e sbattendo i piedi, salì su una sedia e, dopo meno di due secondi, sbatté in mano a U un pesante tomo rilegato in pelle.
- E questo cos’è?
- Ma, cioè, non è possibile. Che diavolo di stregoneria è mai questa? Da dove l’hai preso?
Il modello si limitò a sbuffare nuovamente uscendo dalla stanza a passo spedito.
Insieme Universo, ancora incredulo, tornò sul balcone.
- Ok, trovato, vediamo se qui c’è qualcosa che fa al caso nostro.
Cominciò a scorrere rapidamente l’indice mormorando incomprensibilmente i titoli dei vari capitoli e alzando lievemente il tono su quelli che gli sembravano più interessanti. Dopo una dozzina di voci poco convincenti:
- Senti qui, 314, “liberazione del popolo eletto: Mosè e le 10 piaghe d’Egitto”, sembra fico.
- Uhm, non so chi sia questo Mosè, ma la faccenda delle piaghe merita sicuramente un po’di attenzione.
U appoggiò il libro su di sé e, in un attimo, il contenuto di quella storia gli fu noto. Strabuzzò gli occhi osservando il suo piccolo amico.
- Tu non hai idea…
- Di cosa?
- Di quanto sia stato ispirante questo episodio. So esattamente come procedere, fidati!
314 era nervoso: la faccenda aveva qualcosa che non lo convinceva. Soprattutto il “fidati”, gli sembrava tanto il preludio a un disastro di proporzioni epiche. Scacciò quel pensiero nascondendosi dietro un “è il nostro creatore, se non lo sa lui cosa bisogna fare”.
- Il Piano è questo: tu andrai dal Farauno nel mio nome e gli ordinerai di lasciare liberi te e tutti i numeri naturali non primi, altrimenti io manderò su di lui le mie piaghe! Poi, quando vi lascerà andare, io vi concederò la Terra Promessa.
- Mi sembra un po’semplicistico come piano. Non ci vorrebbe, forse, una maggior cura per i dettagli?
- Hai ragione, tu non sei credibile come profeta intimidatore, dovrai imparare a memoria delle frasi che ti dirò io, poi bisognerà lavorare un po’sul tuo look, darti un po’di spessore estetico. Deeeereeeek.


7. La faccenda sta prendendo una brutta piaga.
- Niente, non ha funzionato. E ho fatto pure la figura del cretino: avresti dovuto sentire come ridevano di me. E dire che mi ero rivolto a te per smettere di dovermi sentire così, quasi preferivo quando i bulli mi dividevano per 0.
314 era tornato dall’Insieme Universo con le pive nel sacco e il morale sottoterra.
- Hai detto le parole magiche?
U lo osservava dall’alto di tutta la sua onnicomprensività.
- Certo che le ho dette.
- E le hai dette giuste?
- Clatoo, Verata, Nicto. Le ho dette giuste le tue cavolo di parole.
- Benissimo, il Farauno e il suo regno di terrore hanno le ore contate.
- Ma, mi ascolti quando parlo? Ti ho detto che non è successo niente.
- Appunto, non doveva succedere nulla, così il faraone si sarebbe impuntato e non avrebbe ottemperato alle tue richieste. Ora, finalmente, posso scatenare le piaghe, è da quando ho letto questo capitolo che ho voglia di farlo.
- Cioè, fammi capire, tu mi hai fatto andare lì a diventare lo zimbello della città infinita solo per…
- Era un passaggio assolutamente necessario, non puoi capire, cose da divinità.
- Voglio morire. Vi prego, uccidetemi.
314 si accasciò a terra ancor più demoralizzato. Per uno come lui, positivo per definizione, essere in quello stato d’animo era quasi un controsenso.
- Dai, su con la vita, quando vedrai quello che ho preparato ti tornerà il sorriso. È il momento della riscossa, 314, il Piano prosegue, presto il Farauno sarà sconfitto, tu e gli altri numeri naturali non primi ve ne andrete da Fibonacci e sarete finalmente liberi, con tutto ciò che questo comporta. Alzati dalla polvere e guarda qui tutte le piaghe che ho preparato mentre tu giocavi a fare il profeta.


8. Lo senti? Lo senti l’odore? Napalm figliuolo, non c’è nient’altro al mondo che odori così, mi piace l’odore del napalm di mattina…
- Sei sicuro che scatenarle tutte insieme non sia pericoloso?
314 sentiva la tensione, avevano rivisto il Piano un migliaio di volte nelle ultime ore, avevano fatto modifiche, contromodifiche, modifiche alle contromodifiche. Alla fine avevano deciso che era perfetto. L’ansia del momento, tuttavia, faceva sorgere un’infinità di dubbi che crescevano dentro di lui ogni istante di più.
- Che pericolo vuoi che ci sia? Andrà tutto bene, ne sono sicuro, fidati!
Ancora il “fidati”, quella parola aveva dato il colpo di grazia alla sua già esigua razionalità anti-scaramanzia.
- Ecco, l’hai detto, ora andrà tutto a rotoli, me lo sento. Me lo sentoooo.
- Smettila di fare la femminuccia e guarda là sotto, è ora.
L’aurora cominciava a farsi strada da dietro i Monti Cosinusoide, il tenue bagliore dell’alba cominciava a rischiarare il cielo nero, restituendo alla pianura le forme e i contorni smarriti nella notte. Il fiume Nash scorreva placido, la superficie appena increspata dalla leggera brezza che soffiava da nord: non si riusciva a scorgere nessuna avvisaglia di quanto stava per accadere.
- È tutto predisposto, non possiamo far altro che attendere e osservare la nostra creatura prendere forma. Stai tranquillo 314, queste piaghe hanno già funzionato nel mondo del mio amico, andranno benissimo anche qui.
U sembrava ottimista, quel giorno era come una vacanza per lui, il primo bagliore di diversità ed emozione da secoli: era eccitato come uno scolaretto.
- Guarda, guarda. Il riflesso del fiume è diventato rosso, in perfetto orario. Te l’avevo detto di non preoccuparti.
314 non riusciva a fare null’altro che osservare la città, si dimenticava persino di respirare da svariati secondi ormai: il suo brutto presentimento continuava a crescere.
- Ed ecco le zanzare, farle arrivare dal fiume a bordo di zattere è stata una trovata geniale, amico mio, nessuno potrà vedere la nube da lontano. Uuuuhh, guarda là, si vedono anche le mandrie, che spettacolo questi buoi. Ero un po’scettico quando abbiamo dovuto inventarli per poter realizzare le piaghe quinta e sesta ma, a vederli così maestosi, credo ne sia proprio valsa la pena. Prendi il binocolo, si vedono tutte le mosche sulle loro schiene, che piano geniale, siamo invincibili!
- Già, davvero fantastico.
- Ehi, ehi, guarda anche là, si stanno avvicinando anche le nuvole, si vede proprio che sono cariche: sarà una grandinata coi fiocchi. Nota anche come l’ombra che fanno nasconde lo sciame di locuste, se non sai che c’è mica lo vedi. Lo vedi?
- Sì, Insieme Universo, lo vedo. Smettila di ripetermi tutto passo passo, c’ero anche io quando abbiamo elaborato il Piano, lo so cosa devo guardare. Il tuo entusiasmo è irritante, stai zitto un po’.
- Certo che sei proprio antipatico.
I due si chiusero in un silenzio offeso e ripresero a scrutare la pianura.
Una decina di minuti più tardi tutte le truppe raggiunsero le loro posizioni, il tempo di un respiro profondo e l’attacco ebbe inizio.


9. La prima legge di Murphy.
Fu chiaro sin da subito che qualcosa non stava andando come sperato: sarebbe dovuto cominciare tutto con centinaia di sciami di zanzare in decollo dalle zattere sul Nash. Il ronzio era forte, come se il piano stesse procedendo, ma, nell’aria, nessuna di loro.
314 abbassò il binocolo sul fiume, il panico gli stava dilaniando il petto.
- Lo sapevo, lo sapevo. Sta già andando tutto a puttane.
L’immagine lo fece rabbrividire: milioni di quegli insetti che, invece di decollare, infilavano i loro lunghi pungiglioni nelle acque di sangue del fiume e succhiavano come indemoniate. Le osservava ingrossarsi a vista d’occhio mentre, le poche ancora dedite al Piano, cercavano di spronare le altre a decollare alla volta della città. Mano a mano che quelle legioni divennero troppo sazie per continuare a bere, si ricordarono del loro dovere e cercarono di prendere il volo ma, appesantite com’erano, ogni tentativo fu vano. Optarono allora per attaccare da terra, sbarcarono sulle rive del fiume e cominciarono a marciare, pesanti, verso la città.
- Dai, hai visto? Non arriveranno volando, ma, vabbè, per la supremazia aerea abbiamo ancora mosche e locuste, senza contare la grandine. Poi guarda come sono grosse ora, sembrano noci con le ali, a terra ci daranno un vantaggio incredibile: non tutto il male vien per nuocere.
Insieme Universo cercava di tenere alto il morale mentre, in perfetto orario sulla tabella di marcia, le rane cominciarono a sciamare fuori dal fiume. Il loro comandante doveva averle motivate all’estremo: attaccarono la riva con una ferocia inaudita, caricando senza paura lungo la lingua di terreno che le separava dalle mura di Fibonacci. Contrariamente ai piani, però, le rane si ritrovarono davanti le zanzare a bloccar loro la carica. L’avanguardia anfibia, spinta dalle file dietro, non riuscì a fermarsi e cominciò a travolgere la retroguardia dittera, i cui corpi cominciarono a esplodere imbrattando la sabbia umida di sangue e interiora. Le rane, attirate dall’odore di quel bendidio, smorzarono la carica e presero ad avventarsi fameliche sulle zanzare: le lingue saettavano tra i ranghi, a ogni sferzata catturavano insetti a manciate.
- Oh, merda. Dai, sono sicuro che sugli altri fronti le cose stiano andando a gonfie vele.
314 era rimasto completamente rapito dall’orrore della scena, si ridestò alle parole di U e trattenne un conato di vomito prima di spostare il binocolo verso il battaglione di bestie cornute.
- E no, cavoli, ma non potevi dar loro da mangiare prima della battaglia?
Gli gnu si erano fermati su un prato a poca distanza dalla città e, pacificamente, si erano messi a brucare.
- Erba? E come cavolo te lo immagini che bestie del genere mangino erba? Pensavo mangiassero, che ne so, avventurieri, eroi, numeri primi. Guardale in faccia, dai, con un muso così ti aspetti che comincino a sputare fuoco, non a mangiare erba.
- Non mi interessa di cosa t’immagini, sei onnicomprensivo, avresti dovuto saperlo!
- Eh, sì, ma ho guardato la figura, la cosa che mangiano l’erba sarà stata scritta in piccolo, da qualche parte di assolutamente invisibile. Non è colpa mia. E tanto ormai arrivano le locuste: in pochi secondi non ci sarà più erba e le nostre bestie dovranno ricominciare a muovere verso la città. Per forza.
314 rimase in silenzio, si limitò a spostare nuovamente il binocolo verso lo sciame di ortotteri che era uscito dal cono d’ombra delle nuvole e volava rapido verso l’obiettivo.
Per una volta, U sembrava averci azzeccato, in pochi istanti arrivarono sui campi a ridosso della città e cominciarono il loro vorace lavoro. Mano a mano che queste consumavano il verde, gli gnu ripresero la loro avanzata. Finalmente qualcosa che sembrava andare quasi per il verso giusto.
- Ancora una cinquantina di metri e arriveranno alla linea di decollo delle mosche, da lì in poi sarà fatta.
U lo diceva sempre: “noi non crediamo nella sfortuna”. In quel preciso istante, a 314 parve di sentire la sfortuna che rispondeva: “ma io credo in voi”.
Le locuste erano momentaneamente ferme, tutte intente a divorare qualsiasi traccia vegetale dalla terra, gli gnu le seguivano a breve distanza da sud. D’un tratto un muggito squarciò l’aria, seguito da un altro, poi un altro ancora: in pochi istanti tutta l’enorme mandria stava levando il proprio grido al cielo.
- Ecco, che ti dicevo? Sono feroci bestie votate al massacro, ascolta il loro grido di guerra. Sento già odore di vittoria.
314 spostò lo sguardo dallo sciame alle bestie.
- No, c’è qualcosa che non va, sembrano imbizzarrite.
I movimenti secchi dei bovini fecero decollare le mosche che, spostandosi, lasciarono liberi alla vista i manti lucidi degli animali. Il numero non riuscì a trattenere il ribrezzo: quei corpi, fino a qualche istante prima solidi e possenti, erano ora percorsi da profonde spaccature sanguinanti e ulcere purulente. Nonostante la distanza gli pareva di sentirne il puzzo sul palato, ma mantenne lo sguardo fisso su quella scena. Dopo pochi secondi, le mosche, attratte dall’odore delle carni aperte e della cancrena, tornarono in massa sui corpi degli animali e si gettarono voraci sulle piaghe aperte: divoravano a piccoli morsi quegli animali, allargando sempre più le spaccature mentre le femmine, con gli addomi gonfi, vi si gettavano per deporre le uova.
Le bestie cominciarono a correre all’impazzata per il dolore, ognuna in una direzione diversa, fu il caos.
- Oh, merda, hanno temporeggiato troppo. Questo sarebbe dovuto succedere a ridosso delle porte della città. Non passerà molto prima che cadano a terra morti. Nei miei piani le carcasse avrebbero dovuto intasare le strade e spandere puzza e malattia.
- Lasciami perdere, tu e i tuoi piani del cazzo. Avrei dovuto far escogitare tutto a Derek, ritardo mentale per ritardo mentale, almeno lui fa ridere.
Per la prima volta U non rispose. Si limitò a chiudersi nella propria imperscrutabilità a osservare gli eventi precipitare in maniera irrecuperabile.
Gli gnu cominciarono a cadere morti, schiacciando sotto i propri corpi decine, centinaia, migliaia di locuste. Nel frattempo le rane, ormai completamente disinteressatesi dell’assalto alla città e in preda a una sindrome da fame ossessivo-compulsiva, deviarono verso i campi, attratte dalla prospettiva di un goloso banchetto croccante: tutta un’altra consistenza rispetto alle scialbe zanzare.
L’orda anfibia si abbatté su quei campi con cieca ferocia, non fece distinzioni tra mosche e locuste, tra vivi e morti. In meno di dieci minuti, 314 vide entrambi gli sciami di insetti venire falcidiati da quelle sempre più obese tritarifiuti fluviali. Alla fine del baccanale, le rane erano così gonfie da sembrare delle palle, la loro pelle così tesa e tirata da risultare trasparente: le poche che ancora si muovevano, lo facevano rotolando sospinte dal vento e da qualche irregolarità del terreno.
Un tuono fece tremare l’aria:
- Sai a cosa ci importa della grandine ormai, le colture sono state già in buona parte distrutte. Vetri rotti e tegole sfondate non serviranno a nulla senza gli insetti che vi si infilano.
La Malasorte, come a voler riconfermare ulteriormente la genialità del proprio piano, cominciò a far grandinare sopra le rane. I chicchi appuntiti si abbatterono sugli anfibi come uno stormo di spilli su dei palloncini gonfi allo spasmo. L’aria cominciò a scoppiettare come se qualcuno avesse messo sul fuoco un’enorme pentola di popcorn: corpi semidigeriti di zanzare, mosconi e locuste si mischiarono ai chicchi di grandine e alle interiora delle rane, in un’enorme granita al gusto schifo che prese ad accumularsi nella pianura antistante l’infinita città di Fibonacci.
- Beh, U, forse hai ragione, guardiamo il lato positivo: questa è la cosa più schifosa che io abbia mai visto, e sta circondando tutta la città. Quando il Farauno la vedrà forse si convincerà a lasciarci andare, io mi farei convincere da una visione del genere.
- Ooooh, questo è lo spirito giusto, finalmente dimostri un po’di fiducia, te l’ho detto io che alla fine le cose si sarebbero sistemate in un modo o nell’altro. Andrà tutto bene.
Un’altra fitta colpì il povero 314 su quell’ennesimo guanto di sfida lanciato alla Sorte, che si sfregò le mani sorridendo sorniona, pronta a decorare la propria torta con la proverbiale ciliegina.
Lo 0 stava ormai spuntando da dietro le colline del coseno, i suoi primi raggi si abbassavano sulla pianura alla granita mentre la città cominciava a destarsi, pronta a godersi lo spettacolo. All’improvviso, la luce cominciò ad attenuarsi, U e 314 si voltarono verso lo 0 e ricordarono: per non dare alla città la possibilità di reagire efficacemente all’invasione, avevano programmato per l’alba la piaga dell’oscurità. Era l’apoteosi del loro fallimento, l’emblema della resistenza al cambiamento delle tradizioni radicate.


10. “Il codice è più che altro una sorta di traccia che un vero regolamento.”
- Tesoro, hai una visita, alzati.
Derek aprì la porta della camera degli ospiti, U ci si era barricato da una settimana ormai: il fallimento delle piaghe gli aveva scaraventato il morale sottoterra.
- Ma senti che puzza di crema per l’acne andata a male che c’è qui dentro, fammi aprire la finestra.
- Noooo, vattene, non voglio niente, lasciami in pace.
- Poche storie, è una settimana che piangi e ti disperi come un personal trainer davanti al menù di un fast food, ora basta! E alzati, che è venuto un tuo amico a trovarti.
Il modello scostò i pesanti tendaggi e spalancò finestra e imposte: una vampata di aria gelida e di salubri raggi solari invase la stanza.
- Chiudi subito! Sei pazzo? Ho detto vattene!
U si tirò il lenzuolo sopra il volto, ma Derek era più che mai determinato a porre fine a quello scempio. Si avvicinò al letto e, con uno strattone, tolse le coperte dal suo compagno e se le appallottolò in mano.
- Bene, ora, a meno che tu non voglia morire congelato, ti conviene alzarti e darti una sistemata, ti ho detto che hai un ospite.
U voleva sfogarsi ma non voleva subire le ripercussioni di Derek, gridò quindi degli insulti in codice binario, sicuro che non sarebbe mai stato compreso. Rimase a letto ancora per qualche minuto, fermo nella sua testardaggine, ma alla fine, infreddolito e tremante, non ebbe altra scelta che alzarsi e infilarsi una tunica pesante. Uscì dalla stanza pallido ed emaciato, percorse il corridoio ed entrò in cucina: visto che si era alzato, tanto valeva mangiare qualcosa.
Appena entrato, sentì dalla sua destra provenire una voce familiare:
- Ciao, U, quanto tempo.
Jehovah, con le mani incrociate sulla sua tunica bianca, lo guardava serafico.
- Derek mi stava giusto aggiornando sui tuoi esperimenti con piaghe e disastri naturali.
- J, che bello vederti- Insieme Universo era appena tornato di buonumore, - tu che ci fai qui?
- Mi ha chiamato la tua dolce metà che, a proposito, fa dei dolcetti buonissimi; mi ha detto che hai avuto qualche guaio con la replica delle mie piaghe d’Egitto e che ti eri depresso. Sono venuto appena ho potuto e, purtroppo, non posso restare molto. Siamo in piena Apocalisse nel mio mondo e ci sono un sacco di sciagure da orchestrare.
- Certo, capisco. Beh, allora veniamo subito al dunque: perché le mie piaghe non hanno funzionato? Erano tali e quali a quelle descritte nel tuo libro.
- Ora ascoltami bene, ti insegnerò alcune regole basilari che ho imparato con l’esperienza: prima di tutto parliamo della Sfortuna, Malasorte, Sfiga, Murphy. Ha molti nomi ma è sempre la stessa cosa. Non puoi pensare di fare nulla di importante senza averla interpellata e aver ottenuto il suo benestare. Il suo potere è troppo grande anche per noi, combatterla non servirà ad altro che a farti sentire un idiota impotente. Quindi chiedi sempre il suo parere prima di muoverti. Se non sai dove sia, tu limitati a sfidarla, vedrai che si farà viva lei.
- Maledetta, ho sentito qualcosa quel giorno, ma non sapevo di questa “Sfortuna”, ci farò una chiacchierata al più presto.
- Bravissimo, seconda regola: non puoi cominciare il tuo impegno attivo nel mondo con un piglio bonario e democratico. Lo so, è una seccatura, ma funziona così. Anche io ho cominciato bene creando un modo idilliaco e dando alle mie creature tutto quello di cui avevano bisogno, ma loro se ne sono approfittati e hanno contravvenuto all’unica regola che gli avessi dato. Lì ho capito che a essere buoni finisci sempre fregato, bisogna partire crudeli, impositori, dittatoriali e vendicativi: manda qualche piaga, allaga il mondo di tanto in tanto, fai cadere piogge di fuoco e zolfo sulle città che non seguono alla lettera le regole, appositamente contraddittorie, che avrai dato. Poi scegli qualche tuo prediletto e permettigli tutto quello che gli pare, persino di contravvenire alle tue regole. Oppure non permettergli niente e rendigli la vita un inferno.
- Uhm, mi piace questa parte, credo proprio che potrei farlo. Che altro?
- Prometti alla tua gente delle ricompense, ma non dare informazioni precise su quando o come gliele darai: sii vago, con questo trucco li terrai sulla corda per secoli.
- Interessante. Ti prego, continua.
- Una cosa importantissima è: non permettere mai, e dico mai, a nessuno di dubitare di te. Chi dubita va punito, severamente! E con lui anche tutto il popolo, così che chiunque si permetta di farlo di nuovo non avrà bisogno del tuo intervento, la sua stessa gente provvederà a punirlo. Poi ci sono anche altre dritte che, però non ti serviranno tanto presto, ti prometto che tornerò a trovarti e ne riparleremo prima che tu abbia finito la “fase vendicativa” del tuo regno. Per il resto puoi sempre prendere spunto dal mio libro.
- A proposito del libro, avrei un paio di cose da chiederti.
- Dimmi pure, ma fai in fretta, tra un’ora ho un’apparizione e devo ancora farmi tutta la strada.
- Come faccio a seguire il tuo manuale se nemmeno capisco le cose che ci sono scritte? L’altro giorno ho usato solo nove piaghe perché la decima non sono riuscito a decifrarla: cosa cavolo sono i primogeniti?
Jehovah scoppiò a ridere.
- Hehe, devi capire, caro U, che il mio romanzo non è un manuale da seguire alla lettera, è più che altro una traccia. Usalo per prendere spunto, ma mettici sempre del tuo, adatta le idee al tuo mondo e falle funzionare. Per esercitarti, ti lascio un compito: pensa alla mia decima piaga e, partendo da quella, inventane una tutta tua, non lesinare su spettacolarità ed effetti speciali, quindi falla abbattere sulla città e libera il popolo schiavo. Poi ricordati di dar loro delle regole e comincia un nuovo corso con punizioni a caso. Vedrai, sarà persino divertente guardarli barcamenarsi tra regole improponibili e situazioni assurde.
- Ok J, grazie, mi metterò subito al lavoro.
- U, è stato bello rivederti, ma ora devo proprio scappare, non facciamo passare altri milioni di anni però, vediamoci un secolo di questi. Ok?
- Volentieri, magari la prossima volta veniamo a trovarti io e Derek, così per ricambiare la cortesia. Intanto ancora grazie della visita e, soprattutto, delle dritte. Le seguirò sicuramente.


11. Ezechiele 25:17
Il cielo divenne nero, le nubi si addensarono sulla città infinita come un conglomerato di cattivi presagi. Nell’aria rombò chiara una voce.
“il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi.”
Nella cortina si aprirono miriadi di microscopici fori, da ognuno filtrava un singolo raggio di luce. Quei fili luminosi tagliavano il buio, andando a colpire ogni singolo numero primo esistente.
“Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti.”
Un raggio più grosso, di colore azzurro, si diresse su 314. Trasfigurato dalla luce divina, cominciò a fluttuare nell’aria fino a ritrovarsi in verticale sopra il Palazzo del Farauno: tutti gli occhi erano puntati su di lui.
“E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare ed infine a distruggere i miei fratelli.”
I raggi sottili brillarono più intensamente e i numeri primi vennero come immobilizzati e trascinati a mezz’aria, fluttuanti nel cielo, dove tutti potessero vederli.
“E tu saprai che il mio nome è quello di U quando farò calare la mia vendetta sopra di te.”
Le nuvole sopra il palazzo Faraunico si aprirono e, in mezzo al cielo, apparve un’enorme U azzurra che cominciò a crepitare e sfrigolare, sempre più forte, come se dovesse esplodere da un momento all’altro. D’un tratto, in un boato, infinite scariche di elettricità azzurra scattarono dalla lettera perdendosi nelle nuvole. In meno di un istante, quelle stesse scariche, scesero dal cielo seguendo i fili luminosi e andarono a colpire tutti numeri primi. L’odore di bruciato si diffuse immediatamente su tutta la città mentre i corpi dei peccatori precipitavano a terra senza vita. 314, invece, planò dolcemente, come cullato dal fascio di luce azzurra, atterrando nella piazza principale con milioni di occhi ancora puntati addosso.
U osservava la scena dal balcone di casa, sorseggiando un tè alla pesca ghiacciato assieme a Madama Sfortuna.
- Come sono fico, eh?


12. “Adoro i piani ben riusciti.”
- Ma, U, lo sai che J aveva proprio ragione?
- Che cosa intendi, Derek?
- Che è proprio forte stare qui alla finestra a spiare le vite di tutta questa gente. Credo che potrei farlo per tutto il giorno.
- Anche io, meglio delle tue stupide soap della tv. Questa è realtà.
- Certo, forse è stato un po’cattivo obbligarli a lasciare la città, far loro attraversare il Mar Ramsey per poi lasciarli a vagare senza meta nel deserto.
- È vero ma, che ti devo dire? J ha detto che la loro arroganza andava punita in qualche modo e che devo sapermi far rispettare. Che ne dici? Aspettiamo ancora un po’a dar loro le nuove regole? Vederli brancolare nel buio senza capire il perché di queste punizioni è troppo divertente.
- Non saprei, però sai che pensavo? Una volta a settimana potresti fargli fare delle prove e, se le superano, dar loro una regola come premio.
- Dovrebbero farci un programma televisivo su un’idea del genere.
- E magari metterlo al lunedì sera che i locali son tutti chiusi, così abbiamo qualcosa da fare.
- Maledetti lunedì sera, è arrivata anche la vostra ora.
Leggi tutto...

sabato 11 agosto 2012

RAMBO


racconto scritto in occasione della "24 ore dello Skannatoio" di Luglio 2012. Ideato, scritto e postato in 68 minuti. Classificatosi poi al terzo posto.
La parte iniziale è l'incipit da cui tutti saremmo dovuti partire per sviluppare la nostra storia.


RAMBO.

All'epoca "El Rubio Manchado" era rinomato come il peggior bar di Caracas ed era proprio per quel motivo che a Miguelito piaceva. Come era solito fare, anche quella sera entrò nel locale, si accomodò al bancone e...

- Hola Esteban, il solito.
Il barista sorrise spostandosi la lunga frangia bionda sopra la testa, il centimetro abbondante di ricrescita corvina gli dava un’aria ridicola.
- Ecco, Miguelito, mi hermano.
L’impeto con cui la tequila cadde nel bicchiere ne fece riversare buona parte su uno dei piattini di sale e limone che costellavano il bancone.
-Ehi, Esteban, che si dice? Qualche novità?
Disse l’uomo in una smorfia mentre, dopo aver trangugiato il liquore d’importazione, si passava il limone sulle gengive.
- No, Miguel, non è successo nulla di importante da ieri, la solita routine.
Michael si era ormai abituato a sentirsi chiamare con la versione spagnola del suo nome, tre anni come agente operativo del Mossad a Caracas avevano cambiato molte delle sue abitudini.
- Poi, lo sai, io qui vedo tutto ma non dico niente, - continuò ad alta voce il barista, come a volersi far sentire dal resto del locale, - è la regola della casa: qui si beve, non si fanno domande.
Su quelle ultime parole, Esteban gli fece strisciare davanti un bicchiere più largo del precedente, che si affrettò a riempire con dell’altra tequila.
- Hai ragione, amico mio, certe volte dimentico le buone maniere.
Miguel trangugiò d’un fiato anche quel drink.
Diavolo di un barista, prezioso come sempre.
Attraverso il fondo di vetro spesso, Miguel riuscì a leggere l’indizio scritto sul tovagliolo di carta usato come sottobicchiere: Plaza Soubelette 00.30.
- Bene, grazie Esteban, dammi una bottiglia da portar via, sarà una lunga notte.
L’agente lasciò sul bancone, ben nascosti da una banconota da venti bolivar, cento dollari americani, prima di riguadagnare l’esterno e avviarsi alla macchina.

Il tenente-colonnello Philipps, un uomo sulla quarantina dai tratti vagamente Navajo, indicò un punto sulla cartina di Caracas, mentre squadrava serio uno dei tre gruppi di militari di fronte a lui.
- Abbiamo ricevuto comunicazione dal comando centrale del Mossad: questo è il punto dello scambio. Avverrà alle zero zero tre zero di questa notte. Secondo la nostra fonte, Ramon Salazar in persona sarà presente: è un affare troppo importante per mandare un sottoposto. Squadra Alfa, voglio un blocco in direzione est, a 100 metri dalla piazza.
- Roger.
- Squadra Beta, attenderete il bersaglio all’ingresso est dell’aeroporto, spero non ci sia bisogno di voi, ma, nel caso, fatevi trovare pronti.
- Affermativo.
- Squadra Delta, voi farete il lavoro sporco: vi voglio sulla piazza, aspettate che lo scambio sia avvenuto e poi recuperate compratore e pacco.
- Sissignore.
- Sui vostri tag-com avete tutte le informazioni che l’intelligence ha saputo fornirci sui bersagli. Studiateli, non voglio errori là fuori. La priorità al pacco, Langley ci autorizza a usare qualsiasi mezzo, ma si raccomanda discrezione: la situazione politica è già abbastanza tesa con le primarie in vista, l’ultima cosa di cui il Paese ha bisogno è ulteriore pressione dai mass media.
L’ufficiale osservò rapido i suoi uomini alla ricerca di dubbi o perplessità.
-Bene, se non ci sono domande, andate pure, avete meno di due ore per essere in posizione. Apriremo il canale verde alle  zero zero e zero zero in punto. Siate pronti.

- Squadra Beta, rapporto!
Il tenente-colonnello Philipps gridava nella ricetrasmittente, le vene gli pulsavano sul collo come se dovessero esplodere da un momento all’altro.
- Ci ha oltrepassati, signore.
- Come sarebbe a dire che vi ha oltrepassati? Fermatelo subito, non deve lasciare Caracas vivo!
- È troppo tardi, signore, il bersaglio sta salendo ora sull’aereo. Non so come ma sapevano di noi, signore, sono arrivati in forze e con l’artiglieria pesante, non siamo riusciti a contrastarli. Non possiamo fare nulla, signore, siamo bloccati da grossi volumi di fuoco. Abbiamo bisogno di rinforzi.
- Vi ho detto di fermarlo, con qualsiasi mezzo! Subito!
Ma dalla squadra Beta, non arrivò più nessuna comunicazione.
Michael sfiorò appena il grilletto dello S.T.A.R.21 e il percussore fece esplodere il colpo.
Subito spostò la mira e sparò altre due volte.
Attraverso l’ottica vide le tre guardie del corpo cadere senza vita lungo la scaletta del piccolo jet mentre Ramon Salazar, in preda al panico, si gettava all’interno del velivolo.
Spostò la mano destra verso la trasmittente integrata nel colletto della sua giacca e premette il pulsante di comunicazione:
- Pulito. Il bersaglio è solo. È salito ora a bordo. Potete partire.
Alzò il mirino verso il portellone e vide Bernard, suo compagno di squadra, sporgere il capo e far lampeggiare tre volte una torcia: tutto a posto anche a bordo.
Il jet decollò e fece ondeggiare due volte le ali.
Michael premette nuovamente il colletto:
- Comando, confermo recupero del bersaglio, confermo recupero del pacco. Rientro.
Si rimise in spalla il fucile e si avviò nuovamente verso la macchina.
Ci voleva tanto a sostituire l’equipaggio del jet e a piazzare un cecchino?
Americani, si credono tutti Rambo.
Leggi tutto...

giovedì 9 agosto 2012

El Conejito.


Racconto breve,  secondo classificato all'edizione X-2 del concorso letterario "Skannatoio 5 e mezzo" del portale "La Tela Nera".
Illustrazioni di: Alessandro Renna.

El Conejito
sangre, muerte y venganza



Nei sobborghi di Caracas, i combattimenti clandestini sono una cosa seria. Sui ring improvvisati in vecchi capannoni abbandonati, si decidono dispute di ogni tipo: onore, denaro, potere, territorio.
I grandi combattenti, con la promessa di facili vincite, attirano sempre tanti scommettitori e, a prescindere dall’esito delle sfide, più la gente scommette, più i boss guadagnano.
Le puntate sono sempre molto alte e i vari gruppi criminali fanno a gara per accaparrarsi i servigi dei lottatori migliori.

Il riff iniziale di Back in Black degli AC/DC risuonava dagli oltre 10000 Watt di casse disposte ai quattro angoli del vecchio magazzino portuale. Attorno a uno dei ring secondari, la folla urlava entusiasta: el Conejito, la rivelazione di giornata, aveva brutalmente sfigurato il settimo lottatore che aveva provato a mettersi tra lui e il main event. Non poteva permettere a nessun altro di arrivare a sfidare il Turco, era il suo bersaglio, la sua preda.
Nemmeno il tempo di tirare il fiato che subito un altro pretendente fu di fronte a lui. Era grosso, ma poco importava. Avrebbe fatto la fine di tutti gli altri.
El Conejito schivò senza problemi una combinazione cross-jab-gancio, come se l’avesse vista arrivare con ore di anticipo, il suo avversario quindi fintò un calcio circolare al viso per poi ruotare in aria e affondare con un laterale.
Inutile. In meno di un secondo si ritrovò a terra con la gamba del laterale bloccata in una chiave articolare. El Conejito cominciò a far ruotare la caviglia del suo nemico che batteva disperato il palmo a terra in segno di resa.
Doppiamente inutile. Quelli non erano i tornei ufficiali: non c’erano arbitri, non c’erano pause, non c’erano riprese. In uno schiocco, l’articolazione della caviglia cedette decretando in modo inappellabile la vittoria del combattente ancora in piedi che, non ancora soddisfatto, continuò a ruotare il piede del suo avversario fino a che gli ebbe fatto fare un giro di 360°. Solo a quel punto si fermò e, con un colpo di tallone, gli spezzò anche il ginocchio. La tibia lacerò la pelle imbrattando tutto il ring di sangue mentre le grida di dolore dello sconfitto venivano soffocate dall’esultanza del pubblico e dal primo assolo di chitarra di Angus.
João Mariachi del Castillo y Mendoza, detto el Conejito, posò nuovamente lo sguardo impassibile sul grande ring principale: il potere della ragnatela lo avrebbe portato fino a lì senza problemi e, a quel punto, avrebbe avuto la sua vendetta.


Erano passati quasi quattro anni da quando se n’erano dovuti andare con disonore dalla città, solo due da quando suo fratello maggiore, Miguel, era morto. El Conejo lo avevano chiamato, il coniglio, solo perché si era inizialmente rifiutato di combattere contro il Turco.
Don Alejandro, boss della zona del Chacao, tuttavia, non era un uomo a cui si potesse dire di no. Rapì Consuelo, la loro amata sorellina. La fece violentare, ripetutamente, da tutto il suo team di lottatori, fino a quando Miguel si decise a combattere. Perse, non solo l’incontro. Dodici fratture, sessantaquattro punti di sutura, un polmone perforato e un occhio maciullato. Ma il pubblico aveva avuto quello che voleva. Le scommesse raggiunsero picchi mai visti e Don Alejandro guadagnò più in quella sera che in tutto il resto del mese: la rovina di una famiglia di pezzenti fu un misero prezzo da pagare per un utile tanto cospicuo.
Fu allora che João, con il fratello e la sorella, si trasferì vicino a Puerto Ordaz, a ridosso delle zone selvagge del Paese, il più lontano possibile da quel mondo che aveva tolto loro tutto.
I due anni successivi furono un vero calvario. Del corpo possente di Miguel era rimasta solo una grottesca caricatura, il fuoco del guerriero che gli ardeva in petto era ridotto a nulla più che una fredda brace. Consuelo si era chiusa nel silenzio, non faceva altro che piangere, fino a quando crollava esausta, solo per venire tormentata dagli incubi.
Una mattina come tante, João tornò a casa dal turno notturno presso la locale distilleria di rhum ed entrò in camera per prendere guantoni e pantaloncini: nonostante la stanchezza aveva voglia di allenarsi. Nella penombra della stanza invece trovò, riverso a terra, il corpo senza vita del fratello. Il suo pensiero corse immediatamente alla sorella, la chiamò con tutto il fiato che aveva in gola e cominciò a cercarla ovunque: sperava davvero fosse occupata a piangere e non sapesse nulla dell’accaduto, era ancora troppo fragile.
La trovò solo mezz’ora più tardi, su un balcone all’ultimo piano della palazzina dove vivevano, impiccata col filo per stendere a una delle travi del tetto. Tentò disperatamente di sollevarla, di farla respirare, di scuoterla. Fu tutto inutile.
Passarono i mesi, João aveva continuato la sua vita aggrappandosi alle abitudini, mentre i giorni scorrevano tutti uguali con solo il dolore ed un malcelato desiderio di vendetta a tenergli compagnia.
Una mattina, mentre cercava qualche brandello di pace sul fondo dell’ennesimo bicchiere di rhum, sentì due peones che discutevano riguardo l’esistenza di un antico rituale, officiato dalle tribù che vivevano nel fitto della foresta: la vista de la araña. La leggenda narrava che, chiunque fosse stato disposto a pagare con la vita, sarebbe stato ripagato con la vista del ragno che lo avrebbe reso invincibile. Tra i fumi dell’alcool, João si convinse che fosse stato il destino ad averlo condotto lì.
Determinato alla vendetta, cominciò senza sosta a cercare i popoli della foresta e si presentò a loro per ottenere il potere della leggenda: era disposto a pagare qualsiasi prezzo per farla pagare al Turco.
Il rituale fu quanto di più doloroso la sua mente potesse concepire.
Más vale que tengas buenas razones, hombre, va a necesitar.
Meglio che tu abbia delle buone ragioni, ragazzo, ti serviranno.
Queste furono le uniche parole che il santone gli rivolse prima di cominciare a strappargli il cuoio capelluto dal cranio. Per giorni venne fatto mordere direttamente nel cervello da ragni velenosi, credette diverse volte di essere morto, ma i pensieri di suo fratello, di sua sorella e del Turco lo tennero ancorato a questa vita una volta di più.
Dopo una settimana di disperate sofferenze, quattro donne conclusero il rituale lasciando che, sulla testa rasata del ragazzo, una delle grandi tarantole sacre tessesse la propria tela, poi ne ricalcarono i tratti con pigmenti sulfurei e ferrosi. Infine, usando delle sottili ed affilate spatole d'osso, incisero la pelle lungo quelle linee, fino a quando pigmenti e ragnatela penetrarono a fondo nella carne.
João vagò per le terre dell’oblio per giorni e giorni mentre il suo corpo combatteva contro le infezioni, la febbre rischiò di ucciderlo, ma alla fine sopravvisse.
Quando si fu ripreso, il vecchio santone gli poggiò una mano proprio sopra il tatuaggio:
- Sentirai il tuo nemico, saprai ogni cosa prima che accada. Ora hai i mezzi per reclamare la tua vendetta.


Passò qualche minuto senza che un nuovo sfidante si facesse avanti, lo spettacolo offerto dalla gamba del precedente doveva averne scoraggiati molti. João si voltò e fece per andare ad appoggiarsi alle corde. Approfittando della distrazione, un giovane ragazzo mulatto saltò sul ring e, coperto dalle grida della folla e dalla musica assordante, cercò di coglierlo alla sprovvista. El Conejito sentì un lieve ronzio nelle orecchie e un formicolio al centro della schiena. Conosceva bene quelle sensazioni: la ragnatela lo stava avvertendo del pericolo e che il prossimo colpo sarebbe arrivato sulla sua spina dorsale. Si scansò con un certo anticipo sull’attacco del suo nuovo avversario mandandolo a vuoto. Vide il mulatto passargli accanto in salto e, senza esitare, lo afferrò per la vita. Il suo nuovo sfidante era fisicamente molto più piccolo di lui, lo sollevò sopra la testa senza fatica per poi farlo cadere con violenza sul proprio ginocchio.
Sentì la sensazione delle vertebre che si frantumavano attraversargli la gamba, dalla rotula alla pianta del piede. Istantaneamente il corpo olivastro del suo avversario perse qualsiasi volontà e stramazzò a terra inerme.
La folla, sbalordita, cominciò a urlare ancora più forte, di tanto in tanto si sentivano esclamazioni come: “tiene ojos detrás de la cabeza también”. Ha gli occhi anche dietro la testa.
Le scommesse crescevano esponenzialmente di minuto in minuto e João si era stancato di quelle nullità: voleva il Turco.
- C’è nessun altro? Si guardò attorno a braccia larghe, lesse la paura in tutti gli sguardi che incrociava: temevano di venire interpellati. -
Qualcun altro vuole offrire la sua vita per allungare quella del Turco? Nessuno?
D’un tratto, la folla ammutolì.
Dalle sue spalle una singola serie di lenti applausi. Don Alejandro camminava lento verso di lui battendo le mani compiaciuto. Pantaloni bianchi, camicia a mezze maniche di lino azzurro e panama in testa. La pelle abbronzata splendeva per il contrasto con le tinte chiare del suo abbigliamento. Attorno a lui la gente aveva creato il vuoto.
- Bravo, Conejito, bravo. Niente a che vedere con tuo fratello.
João fece fatica a trattenersi dal correre verso di lui e ucciderlo lì, davanti a tutti. Sarebbe arrivato presto anche il suo turno. Serrò la mandibola limitandosi a rispondere con un cenno del capo.
- Io dico che ti sei guadagnato il diritto a sfidare il Turco, nostro imbattuto campione da quasi cinque anni. Ma solo se il pubblico lo vuole.
Si voltò verso la folla e, allargando le braccia, urlò:
- Lo volete?
Tutti i presenti proruppero in un boato di assenso.
- Così sia. Chiamate il campione.

Il Turco fece il suo ingresso in campo tra le grida della folla e le note di This Cocaine Makes me Feel Like I’m On This Song: non esisteva canzone migliore per prepararsi ad uccidere.
Il puzzo di aria pesante misto a sudore, sangue e salsedine che impregnava l’ambiente lo faceva impazzire: risvegliava quella insaziabile voglia di violenza che aveva fatto di lui un vincente. Era la sua ragione di vita.
Fisicamente non era certo il combattente più massiccio che si fosse mai visto a Caracas: un metro e ottanta per novanta chili scarsi. Le caratteristiche che lo contraddistinguevano erano senza dubbio tecnica, velocità e la sua rinomata crudeltà. Salì sul ring e passò il palmo della mano sulle corde impolverate per asciugarsi quel lieve velo di sudore che avrebbe potuto inficiare la sua presa; poi, con calma, si girò verso il centro del quadrato e fissò i suoi occhi in quelli di ghiaccio di el Conejito che lo attendeva da qualche minuto. A dispetto del nome, era la prima volta che il Turco incrociava uno sguardo così terribilmente puro: nemmeno un sottile filo di paura contaminava quegli occhi. Bellissimi.
Ti verrà, ragazzino, viene a tutti.
Pensò sistemandosi il fez, tipico copricapo della sua terra natia nonché suo segno distintivo.
Il presentatore, un cencioso e sdentato tizio dall’aria messicana, si levò il cappello di paglia e arringò la folla presentando i due combattenti e tessendone le lodi. Il tifo e, di conseguenza, le scommesse, erano quasi tutte per il Turco. Nessuno dei presenti lo aveva mai visto perdere in più di cinque anni.
Don Alejandro, tra gli schiamazzi, percosse con un mazzuolo un enorme gong decretando così l’inizio dell’incontro. I due si studiarono girandosi attorno, nessuno sembrava voler fare la prima mossa: João perché, per sfruttare al meglio le sue capacità, doveva agire di risposta, il Turco perché non era solito far finire i suoi combattimenti molto presto, era il migliore anche perché intratteneva la folla come nessun altro. Le chitarre distorte fecero quasi esplodere le casse quando finì l’intro tranquillo di Radio/Video dei System of a Down. Il Turco aspettava proprio quel momento: il botto distrasse per un istante João che, nonostante il ronzio di avvertimento lanciatogli dalla ragnatela, non fece in tempo a schivare la salva di colpi che gli piovve addosso. Il Turco era troppo veloce e lui non poté fare altro che chiudersi a riccio e incassare limitando i danni. Di una trentina di colpi, ne andarono a segno solo un paio, ma furono più che sufficienti a spaccargli un sopracciglio e incrinargli una costola. L’avversario riprese a muoversi: descriveva ampi circoli attorno a lui facendo sventolare il cordino del fez, come a volergli far riprendere fiato. In realtà stava solo lasciando il tempo al dolore di spandersi a dovere e sensibilizzare le zone colpite, nonché al pubblico di godersi la scena.
El Conejito cercava invano di pulirsi le palpebre dal sangue: se gli fosse entrato nell’occhio avrebbe dovuto combattere guardando solo col sinistro. Optò per tenere la testa inclinata verso destra: per il momento pareva funzionare.
Al successivo botto delle casse, il Turco portò la seconda raffica di attacchi. Stavolta João non si fece cogliere di sorpresa e reagì per tempo o, almeno, così credette. Le sensazioni della ragnatela gli davano un buon anticipo, ma la velocità dell’avversario era troppo alta, sentiva quando e dove avrebbero colpito i pugni e i calci ma, nonostante questo, non riusciva a schivarli. Tantomeno a contrattaccare. Un circolare andò ad impattare sulla costola già malmessa che, in una fitta lunga e profonda, si spezzò. João cadde a terra per il dolore e sentì pizzicare la guancia poco prima che la tibia del suo avversario vi si abbattesse distruggendogli lo zigomo.
Il sangue cominciava a scorrere copioso sul terreno, ma il Turco ancora non voleva porre fine al combattimento. Saltellava attorno al ragazzo con fare baldanzoso rifilandogli calci sulle gambe e sulle braccia: voleva vederlo soffrire a lungo. João, dal canto suo, non aveva nemmeno più le forze per chiudersi e limitare i danni.
Chiuse gli occhi, pronto a cedere il passo alla morte, ma vide, vivide come se le avesse di fronte, le scene di quattro anni prima, quando il Turco aveva stuprato sua sorella e menomato a morte suo fratello: la sua famiglia voleva vendetta e lui non poteva morire senza avergliela data. Raccolse le ultime energie e aspettò il colpo successivo. Udì il ronzio e sentì formicolare ancora il fianco: si preparò ad afferrare il piede del suo avversario per poi ruotare col corpo e romperlo, ci avrebbe rimesso un altro paio di costole nel tentativo, ma ormai sentiva di non aver più nulla da perdere.
Il formicolio si fece più intenso. Il colpo stava arrivando. Alzò il braccio ignorando il dolore e fece il perfetto movimento per la presa alla caviglia ma, con suo sommo stupore, non ci fu nulla da afferrare, il colpo non arrivò.
Non è poss…
Il pensiero non fece nemmeno in tempo a finire di formularsi nella sua mente che, in pochi istanti, un formicolio e un colpo violentissimo si susseguirono sul suo viso. L’impatto lo fece girare su se stesso, facendolo finire con la faccia a terra. Non riusciva a sentire nemmeno le urla del pubblico, tutto il suo mondo erano i due metri attorno a lui: quello era, ormai, il raggio delle sue percezioni.
Aprì a fatica gli occhi e vide il suo avversario avvicinarglisi, nel suo sguardo brillava una luce assassina che reclamava la sua vita. Invece di finirlo, però, il Turco si accovacciò accanto a lui e gli sussurrò all’orecchio:
- Non potevi vincere contro di me, nessuno può. Credevi di essere l’unico con un dono speciale?
Per la prima volta da quando calcava quei ring di sabbia e sangue, si tolse il fez e, girando la testa, mostrò al giovane João il proprio cranio rasato su cui era impressa, in tonalità di rosso e giallo, una grossa ragnatela uguale alla sua.
- Salutami quel codardo di tuo fratello e quella puttana di tua sorella.
Il Turco si rialzò e, dopo una rapida occhiata al suo pubblico, spiccò un balzo, atterrando con il ginocchio e tutto il suo peso sul collo del ragazzo.
Adiós Conejito.
Leggi tutto...

Aye aye, Capitano.

Buongiorno ciurma, cogliamo l'opportunità che ci offre questo blog per conoscerci un po'.

Subito le cose importanti, così ,se non volete andare avanti a leggere tutto il post, vi potete fare comunque un'idea precisa di cosa ci trovereste.
Sono un giovane scrittore e userò il blog per raccogliere la mia produzione letteraria, spero che la leggerete e che vi piacerà.
Più sintetici di così si muore.

Ora la parte "romanzata", per gli amanti del famosissimo genere "prolissiamo insieme".

Lomo's Log: walk the plank!
Bel nome: musicale, incisivo, intrigante. Ma che diamine significa?
Beh, Lomo (alias Master_Runta in versione "forum") sono io. Questo è il mio blog, quindi va da sé: Lomo's Log.
Perché "Log"? Anche qui è piuttosto intuitivo, blog deriva da web-log.
E "walk the plank" da dove arriva? Heh, bella domanda.
Andiamo con ordine, quando vedi la parola "log" a cosa pensi? non so tu ma io penso al "captain's log", il diario del capitano. Ora i collegamenti mentali possibili sono due e solo due: Star Trek e i Pirati.
Ho optato per i pirati. Ora la cosa è piuttosto banale, "walk the plank!" è il modo inglese per dire "sulla passerella!", quell'asse di legno che si stendeva fuoribordo per permettere agli ospiti sgraditi di tuffarsi a fare una nuotatina con gli squali, magari incatenati a una bella palla di cannone.
E qui si esaurisce il significato letterale del nome.

Ma un blog dovrà pur servire a qualcosa, dico io. No?
Ecco, questo blog mi servirà per raccogliere tutta la mia produzione letteraria.
Sono un "giovane" scrittore e, per comodità soprattutto mia, ho bisogno di un posto online dove raccogliere i miei scritti e renderli facilmente accessibili a chiunque da ogni parte del mondo.
Se si può coniugare questa necessità con il piacere di far leggere dei bei (spero) racconti alla gente interessata, beh, perché non farlo?

Ok, siamo pronti per spiegare come mai proprio i pirati e come mai proprio la passerella, ma non temete, questione di poche righe.
La metafora che ho scelto rappresenta il mio modo di intendere e di vivere la scrittura.
Proprio come un condannato, lo scrittore cammina su quella passerella, forte delle sue idee e delle sue capacità (vere o presunte), appesantito da quelle zavorre che sono la paura del giudizio degli altri, il mettersi a nudo, il terrore che dai suoi scritti qualcuno possa scavare dentro di lui e intuire cose che, con tanta fatica, aveva sempre tenuto nascoste ma, soprattutto, la paura del fallimento.
Inutile dire che io sono di quelli che ignorano le zavorre e si lanciano a spada tratta in mezzo agli squali, perché solo così si può raggiungere il proprio obiettivo.

Poi i pirati mi affascinano sin da quando ero bambino, ricordo il primo libro di pirati che lessi: "gentiluomini della filibusta".

La scrittura ci permette di creare mondi, narrare storie, insegnare lezioni, instillare dubbi e scatenare emozioni.
Questo è quello che mi prefiggo di fare scrivendo, rapirvi e portarvi al cospetto di altri mondi, persone, situazioni, voglio farvi ridere, piangere, distrarre, pensare e, di tanto in tanto, darvi un bel pugno nello stomaco.

Tutto questo sono io, almeno nella mia veste di scrittore.

Leggi tutto...